Manifesto del Nazionalismo Bianco:
Capitolo 9, Cosa c’è che non va con la diversità?

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Parte 10 di 16 (Parte 1 [2], Parte 9 [3], Parte 11 [4])

Ci sono contesti in cui la diversità è una cosa buona. Ad esempio, la diversità di beni sul mercato, la diversità di opinioni nella vita, la diversità di opinioni nella politica e nel mondo accademico e la diversità di punti di vista tra i giudici che devono assegnare dei premi o risolvere un caso giudiziario.

Ma nel contesto politico attuale, per diversità si intende qualcosa di molto specifico, ossia l’integrazione di molte razze diverse e di diversi gruppi etnici all’interno della stessa società o istituzione. Il termine si riferisce anche all’integrazione delle donne e di minoranze sessuali all’interno di istituzioni dalle quali sono state tradizionalmente escluse, quali l’esercito. Ovviamente, è concepibile una società priva di diversità razziale ed etnica, ma non una società senza uomini e donne. Possiamo però immaginare una società in cui uomini e donne hanno ambiti e ruoli sociali piuttosto differenziati.

Il multiculturalismo, la società multirazziale, il femminismo e l’agenda LGBTQ costituiscono oggigiorno il senso primario della diversità. Alle persone che promuovono questa diversità spesso interessano poco la diversità di opinioni e la libertà di scelta. È su questa versione politicamente corretta della diversità che intendo concentrarmi.

Non è un’esagerazione affermare che la lode alla diversità costituisce la religione civile del nostro tempo. Mentre in passato era obbligatorio per tutti, e particolarmente per le persone ambiziose e potenti, omaggiare a parole il cristianesimo, la gente oggi fa a gara per offrire la più piena e sentita professione di fede nel dio della diversità. A partire da Bill Clinton, i presidenti americani, sia repubblicani sia democratici, hanno ripetuto il mantra che “la diversità è la forza più grande dell’America.” Non una forza, ma la forza più grande.

Benché per aumentare la diversità l’esercito la polizia e i vigili del fuoco siano stati costretti ad abbassare i propri standard di forza fisica, essi proclamano che la loro vera forza risiede precisamente in questa diversità. Nel 2007 il generale George Casey, all’epoca comandante in capo di tutte le truppe americane in Iraq, affermò: “Credo fermamente che la forza del nostro Esercito venga dalla diversità.”[1] [5] Non dalle armi, dalla tecnologia, dall’addestramento, dai muscoli e dal carattere dei soldati, dall’unità di intenti, ma dalla diversità. Speriamo che questa teoria non venga mai messa alla prova in battaglia contro un avversario serio. Sebbene le istituzioni educative abbiano abbassato i propri standard di ammissione e di laurea, ridotto drasticamente il piano di studi per corsi più impegnativi, creato intere discipline per fornire titoli e lavori accademici a membri di gruppi marginalizzati e speso vaste somme per il reclutamento e la propaganda a favore della diversità, essi affermano che l’educazione è più forte che mai grazie a tutta questa diversità, nonostante il fatto che, a giudicare da criteri oggettivi, la società stia spendendo più che mai per l’educazione, ma la gente stia imparando sempre meno.

Lo stesso ragionamento delirante è diffuso in ogni settore della società, dagli affari alla religione, dalle organizzazioni benefiche alle arti.

I nazionalisti bianchi si oppongono alla diversità. Vogliamo Patrie razzialmente e culturalmente omogenee per tutti i bianchi. Poiché la nostra visione va contro le tendenze culturali e politiche dominanti, come nazionalisti bianchi dobbiamo avere una buona risposta alla domanda Cosa c’è che non va con la diversità?. Ecco quattro motivi per cui la diversità sarebbe un male, anche se i bianchi non fossero a rischio di estinzione.

1. Diversità significa esproprio dei bianchi

Il primo e principale motivo per cui la diversità è un male è piuttosto semplice. Quando parliamo di aumentare la diversità all’interno di una comunità o azienda o chiesa o scuola, questo è un eufemismo: significa avere meno persone bianche. Perché mai questa dovrebbe essere una cosa desiderabile per i bianchi? Non c’è una risposta a questa domanda.

Perciò, quando qualcuno dice “Bella la vostra cittadina: è prospera, pulita, amichevole, ma le manca un po’ di diversità”, la risposta appropriata è: “Pensi quindi che ci siano troppi bianchi? Cosa c’è che non va con i bianchi? Perché i bianchi non ti piacciono?”.

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Ora, alcuni potrebbero rispondere che non desiderano diminuire il numero di bianchi, ma che vogliono semplicemente aggiungere un po’ di colore. Ma questo presuppone che la saturazione non esista, e che si possano aggiungere persone nuove a una comunità senza aumentare i costi e abbassare i benefici per le persone che già ci vivono. È invece legittimo chiedere se incrementare la diversità non significhi ridurre le opportunità per i bianchi, e allo stesso tempo incrementare il traffico, il crimine, l’alienazione, il conflitto e altri oneri sociali.

Oltretutto, anche se la persona in questione afferma di non voler diminuire il numero assoluto di bianchi, sta sempre sostenendo che ci sono troppi bianchi in percentuale rispetto alla popolazione complessiva. Quindi tu chiedigli perché vuole che la popolazione bianca venga diluita.

Se diversità non significa altro che esproprio dei bianchi, è ovvio che questo è un male per i bianchi. Era ovvio che i bianchi avrebbero iniziato a risentirsene. Ora stiamo iniziando a opporvi resistenza. Il Nazionalismo bianco non è che l’inevitabile resistenza a quella pulizia etnica ai danni dei bianchi che chiamiamo diversità. Benvenuto nella resistenza!

Certamente, l’aumento della diversità è un male per i popoli nativi di ogni terra, non solo per bianchi. Quando i bianchi arrivarono in Africa, in Asia e nelle Americhe per la prima volta, non stavano semplicemente aumentando la diversità di questi luoghi? Il primo tra i miei antenati a giungere in America mise piede a Jamestown nel 1612. Stava scappando dall’oppressione e dalla povertà. Stava cercando di costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia. E stava portando la diversità al Nuovo Mondo. Ma ai bianchi non viene mai attribuito alcun merito per questo. Quando a farlo sono i bianchi, si parla sempre di colonialismo e genocidio. Ma non è egualmente un male quando sono i non-bianchi a farlo a noi?

2. La diversità indebolisce tutte le istituzioni

La diversità, ci dicono, rafforzerà letteralmente ogni cosa. Presumibilmente, questo rafforzamento significa che ogni istituzione toccata dalla diversità svolgerà meglio la propria funzione. I quartieri saranno posti migliori dove vivere. I governi promuoveranno meglio la giustizia e l’armonia. Le scuole formeranno meglio gli studenti. Gli ospedali cureranno meglio i malati. Gli eserciti e le forze di polizia produrranno una maggiore sicurezza. I vigili del fuoco e i medici d’urgenza salveranno più vite. Le Chiese salveranno più anime. Le aziende produrranno più profitti. E così via.

Ma tutto questo non ha senso. Ogni istituzione si definisce in base ai propri obiettivi. Quindi in modo da funzionare bene, ogni istituzione deve trovare gente che sia brava a promuovere i suoi obiettivi. Gli insegnanti devono insegnare; i pompieri devono combattere il fuoco; soldati devono combattere i nemici, ecc. Il criterio principale di assunzione e promozione in ogni istituzione è la capacità di qualcuno di contribuire allo scopo dell’istituzione stessa. Nessuna istituzione può essere migliorata introducendo criteri di successo in competizione con il suo obiettivo, come la diversità.

Quindi, non appena la diversità diventa la “forza più grande” di un’istituzione, la gente naturalmente abbassa i propri standard di successo in modo da promuoverla. Ad esempio, i soldati e i vigili del fuoco devono essere fisicamente forti per svolgere le proprie funzioni. Ma quando la diversità diventa un valore – particolarmente l’integrazione delle donne all’interno di professioni che richiedono forza fisica – gli standard inevitabilmente si abbassano, indebolendo quindi l’istituzione nella maniera più significativa: rendendola cioè meno in grado di svolgere la propria funzione. Quindi la diversità non è una forza. È una debolezza.

3. La diversità è una fonte di conflitto

La diversità è una fonte di conflitto all’interno delle istituzioni e della società intera. Questi conflitti impediscono loro di svolgere le proprie funzioni, anche quando non si persegue artificialmente l’obiettivo di promuovere la diversità. Una scuola divisa dal conflitto non può insegnare altrettanto bene di una scuola armoniosa. Un esercito diviso dal conflitto non può combattere altrettanto bene di uno unito. Una società squarciata dal conflitto è un posto meno piacevole in cui vivere per una società pacifica.

L’idea che la diversità migliori ogni società o istituzione è un’aberrazione dell’inizio del XXI secolo. Nessun filosofo o statista serio del passato avrebbe mai preso in considerazione l’idea.

Lo scopo della politica è di creare ordine sociale e armonia. In sostanza, è il problema di andare d’accordo gli uni con gli altri. La vita sociale deve fornire netti benefici a coloro che vi partecipano, altrimenti ognuno andrà per la propria strada e la società collasserà. Ma oltre a questo, poiché non siamo solo individualisti egoisti, dobbiamo coltivare responsabilità e investire nella società, in modo che le persone possano lavorare per migliorare la società e siano disposte persino a morire per assicurarsi che essa venga preservata e perpetuata. Questi sono i problemi principali in politica: la creazione dell’armonia sociale e di un profondo senso di identificazione con la nazione, responsabilità verso la nazione, e volontà di sacrificare la propria vita per la nazione.

Ora, la diversità razziale ed etnica come contribuisce al perseguimento di questi obiettivi? Immaginate di vivere in un’idilliaca strada alberata nei sobborghi, dove giocano tanti bambini. Con l’aumento della popolazione e il peggioramento del traffico, iniziate a notare che molte macchine sfrecciano attraverso il vostro quartiere. Hanno scoperto che la vostra strada è una scorciatoia per passare da un’arteria intasata a un’altra, e così schizzano attraverso quello che un tempo era un quartiere tranquillo, costituendo un rischio per i bambini.

Decidete di fare qualcosa. Volete che la città installi dei dissuasori di velocità. Per farlo, dovete prima andare dai vicini e portarli dalla vostra parte, in modo che in blocco possiate consegnare una petizione alla città per avere dei dissuasori. Ma per convincere i vicini, dovete essere in grado di comunicare con loro. Sarebbe bello, no? Peccato che nell’America di oggi ci sono parecchi quartieri dove non si può più comunicare con i propri vicini. Perché non si parla più la stessa lingua.

A prescindere da questo, anche se voi e i vicini parlaste la stessa lingua, avreste sempre bisogno di condividere gli stessi valori. Le nazioni bianche oggi stanno venendo colonizzate da società che non hanno investito niente in esse. Sono qua solo per arraffare. Vengono da società caratterizzate da squallore pubblico e splendore privato. Tra le mura delle loro case è tutto bellissimo, ma fuori in strada ci sono cani morti e buche e la cosa non li turba. È il loro sistema di valori. Provate a motivare persone con quel sistema di valori a impegnarsi a installare dissuasori nella vostra strada, anche se hanno bambini piccoli e questo potrebbe proteggerli: sarà molto difficile.

Per perseguire obiettivi comuni, dovete già avere qualcosa in comune. Dovete avere una lingua in comune per comunicare. Ognuno deve conoscere il modo di pensare dell’altro. Ma una volta che ognuno conosce il modo di pensare dell’altro, è necessario avere gli stessi valori, altrimenti non si sarà mai in grado di perseguire gli stessi obiettivi.

La diversità mina tutto questo. A un certo punto diventa impossibile perseguire o preservare i molti beni sociali creati quando gli Stati Uniti o la Svezia o qualsiasi altra società europea erano prevalentemente europei, ossia quando le persone parlavano la stessa lingua, avevano gli stessi valori, conoscevano ognuno il modo di pensare dell’altro e sentivano che potevano dare qualcosa alla comunità perché non sarebbe stato un sacrificio non corrisposto.

L’aumento della diversità causa una diminuzione della fiducia e dell’impegno sociali e una distruzione dell’ambito pubblico; e questo non è un bene per la società.

Così, filosofi e statisti attraverso i secoli hanno considerato l’omogeneità razziale, etnica, e religiosa come una grande benedizione. Ad esempio, il padre fondatore americano John Jay – che dovette pensare alle fonti dell’ordine politico ben più profondamente di Bill Clinton o Barack Obama – osservò con soddisfazione in Federalist Papers no. 2: “la Provvidenza ha voluto donare questo territorio a un popolo unito, che discende dagli stessi antenati, che parla la stessa lingua, che professa la stesssa religione, che condivide gli stessi principi di governo e ha abitudini e costumi molto simili”. Jay non considerava nemmeno gli schiavi neri o gli indiani d’America come parte del popolo americano. I Padri Fondatori credevano che il tentativo di integrarli all’interno del nuovo sistema, ponendoli sullo stesso livello dei bianchi, avrebbe reso la società più debole, non più forte.

Lee Kuan Yew, il fondatore dello Stato moderno di Singapore, si trovò a dover creare ordine all’interno di una società multirazziale e questo lo spinse ad abbracciare l’autoritarismo, non la democrazia liberale. In un’intervista per Der Spiegel, Yew affermò: “Nelle società multirazziali non si vota secondo i propri interessi economici e sociali, ma secondo la propria razza e religione.”[2] [8] Quindi la democrazia in un contesto multirazziale non era compatibile con l’ordine politico, particolarmente un ordine politico che potesse perseguire un bene comune. La democrazia non può portare ad un consenso di governo in modo affidabile, a meno che i votanti non siano già abbastanza simili gli uni agli altri. Senza una popolazione relativamente omogenea, l’ordine dev’essere imposto dall’alto. Quindi se la diversità aumenta, la democrazia fallisce. L’antica verità che la diversità è causa di conflitto è sostenuta anche dallo studioso contemporaneo Robert D. Putnam, il quale ha analizzato quarantuno comunità negli Stati Uniti, che vanno da comunità altamente multietniche a comunità altamente omogenee. Egli ha scoperto una forte correlazione tra fiducia sociale e omogeneità, e tra sfiducia sociale e diversità. Ha scoperto che anche persone della stessa razza e dello stesso gruppo etnico si fidano meno le une delle altre quando vivono in comunità multietniche. Dopo aver scartato altre possibili cause per queste variazioni del livello di fiducia sociale, Putnam è giunto alla conclusione che “la diversità di per sé ha un effetto notevole.”[3] [9] La diversità porta all’erosione della fiducia sociale, che a sua volta porta al deteriorarsi dell’ordine sociale in generale. Quindi, per Putnam, all’interno di comunità variegate le persone hanno meno fiducia nel governo e nei media, si sentono politicamente impotenti, prendono meno parte alla politica e a progetti comunitari, fanno meno volontariato, danno meno soldi in beneficenza, hanno meno amici, trascorrono più tempo davanti alla TV e si sentono meno felici della propria vita. Il politologo Tatu Vanhanen è giunto a simili conclusioni attraverso uno studio comparativo della diversità e del conflitto in centoquarantotto Paesi.[4] [10] Vanhanen ha scoperto che il conflitto sociale non è fortemente correlato a differenti livelli di benessere o alla differenza tra governi democratici e autoritari. Piuttosto, è fortemente correlato alla diversità. Nelle società multietniche, siano esse ricche o povere, democratiche o autoritarie, c’è più conflitto che nelle società omogenee, che sono più armoniose, a prescindere dal livello di benessere o democrazia. Promuovere la diversità è un modo cattivo di gestire qualsiasi società, anche una non minacciata dal declino demografico.

4. La fonte più profonda di armonia sociale

Perché la diversità è una fonte di disarmonia? E perché la somiglianza è una fonte di armonia? È puramente una questione di cultura, ossia di lingua comune e di un sistema di valori condiviso? O vi è qualcos’altro, qualcosa di più profondo? I nazionalisti bianchi affermano che la fonte di armonia politica più importante non è la cultura. È la genetica.

Il nazionalismo civico [o liberale] si basa essenzialmente sull’idea che possiamo creare una società unificata e armoniosa a partire da gruppi di persone radicalmente diversi, se li assimiliamo all’interno di una lingua comune e di un sistema di valori condiviso. I nazionalisti liberali si appigliano all’idea di assimilazione perché senza di essa dovrebbero infrangere il tanto temuto tabù del “razzismo”.

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Ovviamente oggi non stiamo nemmeno più tentando di assimilare gli immigrati. Non siamo più tanto sicuri della nostra cultura da poter insistere affinché gli stranieri adottino le nostre norme e il nostro modo di vivere. Oltretutto, gli immigrati stanno tentando molto aggressivamente di assimilarci, un kebab alla volta. Inoltre, fino a quando non avremo riguadagnato abbastanza sicurezza in noi stessi da provare ad assimilare i forestieri, gli assimilazionisti conservatori  dovrebbero promuovere un freno completo all’immigrazione. E dobbiamo chiederci: i conservatori vogliono davvero assimilare i nostri immigrati più recenti? Queste persone possono effettivamente migliorare l’America o qualsiasi altra nazione bianca?

Onestamente, mi fa piacere che l’assimilazionismo sia stato abbandonato quando abbiamo aperto i nostri confini al Terzo Mondo. Io non desidero affatto assimilare i non-bianchi, perché più essi vengono assimilati, e più è probabile che sposino persone bianche e ottengano potere e influenza nelle nostre società. È meglio quindi che le loro comunità rimangano quanto più separate e alienate possibile, piuttosto che diventino invischiate con il resto della società. Questo renderà molto più facile per loro ritornare a casa un bel giorno.

Ma anche se tornassimo a essere abbastanza sicuri della nostra cultura da richiedere l’assimilazione, questa non è semplice da conseguire. La maggior parte degli americani oggi sono una combinazione di diversi ceppi europei. Alcune persone pensano: “Beh, quello è stato semplice.” Ma non lo è stato. Basta avere una conoscenza superficiale della storia americana per sapere che quando gruppi molto simili giunsero negli Stati Uniti dall’Europa, ne seguì un conflitto enorme.

I popoli delle Isole britanniche sono molto simili geneticamente e culturalmente. Parlano persino una lingua comune. Eppure gli irlandesi non erano i benvenuti in America, principalmente per via di una sola differenza culturale: il Cattolicesimo. Bastò questo a creare grande conflitto e animosità.

I conflitti si aggravarono quando gruppi culturalmente ancora più diversi giunsero negli Stati Uniti dall’Europa meridionale e orientale. Per via di questi conflitti, gli Stati Uniti approvarono una legge per restringere l’immigrazione nel 1924, non per gestire l’immigrazione non-bianca, che era praticamente inesistente, ma per gestire l’immigrazione di bianchi dall’Europa.

Mi fa piacere che l’America abbia superato queste crisi e sia riuscita a fondere diversi gruppi di immigrati europei in modo da forgiare un nuovo popolo: gli americani. Sono assolutamente contrario a qualsiasi tentativo, anche solo goliardico, di riaprire i vecchi conflitti etnici in America. Siamo tutti americani oggi, e nella maggior parte dei casi, quando un bianco presenta la propria identità americana facendola precedere da un aggettivo etnico (es. ‘italo-americano’), abbiamo semplicemente a che fare con una persona di discendenza europea mista che vuole presentarsi come italiana o polacca per via del suo cognome.

L’assimilazione, inoltre, ha avuto un costo culturale altissimo. Ad esempio, gli americani un tempo avevano profondamente a cuore le differenze tra Protestantesimo e Cattolicesimo. Per assimilare un gran numero di immigrati cattolici, gli americani hanno semplicemente smesso di curarsi delle differenze religiose. Abbiamo smesso di curarci di molte differenze storiche e culturali tra europei, semplicemente in modo da non farne più una causa di conflitto. In breve, l’assimilazione culturale cancella le differenze culturali. Il fatto di smettere di curarsi di esse è un’insidiosa forma di nichilismo che ci ha alienato dai nostri antenati, i quali ci considererebbero eredi indegni che hanno abbandonato il proprio retaggio culturale.

È quindi assurdo dire: “È stata una passeggiata assimilare tutti questi gruppi europei, quindi aggiungiamo un po’ di pachistani e somali al miscuglio!”. È già stata dura assimilare altri europei: perché dovremmo complicarci la vita importando persone ancora più radicalmente diverse? Non siamo costretti da alcun calcolo egoistico o imperativo morale a ritrasformare le nostre società in campi da battaglia. Particolarmente dato che questa volta si tratta di una battaglia che non possiamo vincere, visto che popoli radicalmente stranieri non potrebbero mai essere assimilati, anche a volerci provare.

È stato possibile assimilare altri europei solo perché non erano poi così diversi da noi. Gli Stati Uniti non sono mai riusciti ad assimilare i neri, gli Indiani d’America e gli asiatici, la maggior parte dei quali si trovano in America, ma non fanno parte di essa. L’assimilazione dei bianchi è stata possibile perché, al di là di tutte le differenze culturali, siamo geneticamente molto simili.

Di fatto, i bianchi sono la razza geneticamente più uniforme, perché ci sono stati momenti nella nostra storia evolutiva in cui eravamo pochissimi, e tutti noi vantiamo una discendenza comune. Quindi le differenze genetiche tra Europa orientale e occidentale, tra Europa del nord e Europa del sud, sono piuttosto piccole e questa somiglianza genetica è bastata a colmare divari e conflitti culturali.

5. La teoria della somiglianza genetica

Philippe Rushton è uno psicologo dell’evoluzione noto soprattutto per il suo libro Race, Evolution, and Behavior. È meno noto per la sua ricerca su quella che chiamò teoria della somiglianza genetica.[5] [13] Rushton mi presentò l’idea nel contesto delle relazioni interpersonali. Disse: “Gli opposti non si attraggono e posso provarlo scientificamente.” Ma avrebbe potuto anche dire: “La diversità causa conflitto e posso provarlo scientificamente.” La teoria della somiglianza genetica dimostra che l’affettività, l’armonia e l’altruismo tra esseri umani – e tra creature viventi in generale – sono funzioni della somiglianza genetica. Quanto più geneticamente simili sono due creature, tanto più è probabile che esse intrattengano relazioni armoniose.

La spiegazione ultima di questo fenomeno è data dall’imperativo biologico a riprodursi dei geni. Si potrebbe pensare che questo imperativo porti a comportamenti competitivi spietatamente egoistici. Ma non è così, perché i geni che mirano a propagarsi sono presenti in diversi individui. Le persone condividono il maggior numero di geni con i propri parenti più stretti, un numero più piccolo di geni con parenti più lontani e alcuni geni con tutti quelli compresi nel proprio gruppo etnico o razziale allargato.

Quindi ogni individuo avrà una tendenza ad adottare comportamenti di cooperazione, armonia e persino altruismo nei confronti di coloro che maggiormente condividono i suoi geni. Un individuo è capace persino di sacrificare la propria vita per la famiglia e la comunità, se questo significa assicurare una maggiore propagazione dei suoi geni.

Ma la controparte di questo amore per la propria gente è l’ostilità verso gli estranei. Gli esseri umani e gli altri animali sono quindi disposti a combattere gli estranei per proteggere gli interessi genetici della propria famiglia, tribù, nazione e razza. Questo è il fondamento della politica e della sua continuazione per altri mezzi, ovvero la guerra.

La teoria della somiglianza genetica si basa su forti evidenze scientifiche. Ma non c’è bisogno degli studi di Rushton per convincerci di questo, perché abbiamo tutti presente un fenomeno che dimostra come la somiglianza genetica produca armonia: i gemelli monozigoti. I gemelli monozigoti hanno esattamente gli stessi geni.

Una volta feci la conoscenza di una coppia di gemelli monozigoti e uno di loro mi disse qualcosa di piuttosto toccante, che mi è rimasto impresso. Dovrebbe diventare il titolo di un libro sui gemelli. Mi disse: “Più che due persone, siamo un uovo diviso.” Questa era un’indicazione del livello di armonia tra i due. Solo a guardarli conversare e interagire tra loro si capiva che ognuno dei due sapeva esattamente che cosa l’altro stesse per dire o cosa stesse pensando; erano in grado di finire l’uno le frasi dell’altro. E infatti studi sui gemelli monozigoti, specialmente su gemelli che sono stati cresciuti in famiglie diverse, mostrano quanto forte e pervasivo sia il determinismo genetico, rispetto ai fattori ambientali e culturali.[6] [14] L’armonia più grande tra due persone è quella che esiste tra gemelli monozigoti. Conoscono l’uno la mente dell’altro in una maniera che sarebbe impossibile persino per gemelli eterozigoti o fratelli. Se volessimo creare una società quanto più armoniosa possibile, dovremmo creare una società di cloni. Certo, se desideriamo che avvenga la riproduzione sessuale, sarebbe necessaria un po’ più di diversità genetica, ma meno di quanto si potrebbe pensare. In Islanda si è scoperto che i matrimoni più armoniosi e il più alto numero di figli si hanno tra persone che sono geneticamente simili, ad esempio cugini di terzo e quarto grado.[7] [15] Stando alla teoria della somiglianza genetica, le società più felici al mondo dovrebbero essere le più omogenee geneticamente. Questo è sicuramente vero nel caso della Danimarca, che viene regolarmente classificata come il Paese più felice al mondo,[8] [16] e che è anche uno dei più geneticamente omogenei.[9] [17] Stando alla teoria della somiglianza genetica, più aumenta la diversità genetica di una società e meno questa società sarà armoniosa, unita, e felice. Anche se la società in questione in qualche modo riuscisse ad “assimilare” questa crescente diversità all’interno di una lingua e di un sistema di valori condivisi, sarebbe lo stesso meno armoniosa e felice di una società geneticamente omogenea. Una società può aumentare la propria diversità genetica anche assimilando persone della stessa razza, ma l’incremento della diversità genetica più drammatico avviene con immigrati appartenenti a razze completamente diverse. L’aumento della diversità razziale rende la società più debole e meno armoniosa. La diversità non è affatto una forza. Il Nazionalismo bianco non è che l’idea di una società in cui tutti quelli che ti circondano sono tuoi consanguinei. È una società dove puoi capire e fidarti dei tuoi concittadini. Dove puoi cooperare con loro per perseguire il bene comune. Dove vorrai contribuire a progetti grandiosi, anche se forse non vivrai abbastanza a lungo da vederli realizzati. Dove le persone piantano alberi in modo che le future generazioni possano godere dell’ombra. È una società in cui le persone si identificano così tanto con la cosa pubblica che sono disposte a sacrificare la propria vita per essa, se necessario. Soprattutto, è una società in cui ti puoi sentire a casa. È questo il senso del Nazionalismo Bianco: assicurare Patrie bianche per tutti i popoli bianchi.

Senza una Patria, la nostra gente si sente sradicata, distaccata e alienata. Desidera essere circondata da persone con la stessa cultura, la stessa storia, lo stesso destino. Ma non è tutto. Desidera anche trovarsi tra persone che vibrano delle stesse profonde frequenze inconsce basate sulla parentela razziale che unisce tutti i bianchi. È questo che il Nazionalismo bianco vuole ricreare per tutta la nostra gente.

Noi rappresentiamo la fratellanza e l’appartenenza. La diversità ci priva di queste cose. È questo ciò che non va con la diversità.

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Note a piè di pagina

[1] [19] https://www.army.mil/article/6405/gen_casey_announces_creation_of_diversity_task_force [20]

[2] [21] http://infoproc.blogspot.com/2005/08/lee-kuan-yew-interview.html [22]     

[3] [23] Robert D. Putnam, “E Pluribus Unum: Diversity and Community in the Twenty-First Century,” Scandinavian Political Studies, 30 (2007), p. 153.   

[4] [24] Tatu Vanhanen, Ethnic Conflicts Explained by Ethnic Nepotism (Stamford, Conn.: JAI Press, 1999).      

[5] [25] J. P. Rushton, “Ethnic Nationalism, Evolutionary Psychology, and Genetic Similarity Theory,” Nations and Nationalism 11 (2005): 489-507.

[6] [26] Nancy Segal, Born Together — Reared Apart: The Landmark Minnesota Twin Study (Cambridge: Harvard University Press, 2012).   

[7] [27] https://www.nature.com/news/2008/080207/full/news.2008.562.html [28]      

[8] [29] https://www.livescience.com/62150-why-denmark-is-happiest-country.html [30]    

[9] [31] https://www.sciencedaily.com/releases/2016/10/161011131428.htm [32]