Manifesto del Nazionalismo Bianco:
Capitolo 7, Bianchezza

[1]3,582 parole

Parte 8 di 16 (Parte 1 [2], Parte 7 [3], Parte 9 [4])

Un’ovvia linea di attacco al Nazionalismo bianco consiste nell’asserire che il concetto stesso di bianchezza è problematico. Affronteremo quattro obiezioni di questo tipo. Primo: si suppone che il concetto stesso di bianchezza non sia politicamente necessario. Secondo: si sostiene che questo sovverta l’identità etnica. Terzo: si afferma che la bianchezza sia un costrutto sociale, non una classe naturale. Quarto: si sostiene che l’applicabilità del Nazionalismo bianco dipenda da una definizione ineccepibile della bianchezza, che invece è un concetto elusivo.

La bianchezza è necessaria?

Un’incomprensione o rappresentazione fuorviante del Nazionalismo bianco piuttosto diffusa consiste nell’affermare che il concetto stesso sia privo di significato, dato che ai bianchi il nazionalismo “bianco” non interessa. Quello che ci interessa è il nazionalismo americano o francese o tedesco o italiano. Stando a questa interpretazione, il nazionalismo tedesco è per i tedeschi e il Nazionalismo bianco è per i bianchi generici. Dato però che non esistono bianchi generici, il Nazionalismo bianco è un programma politico senza un elettorato, un concetto senza un referente.

Ma il Nazionalismo bianco non è un nazionalismo per bianchi generici. Nazionalismo bianco non significa altro che etnonazionalismo per tutti gli specifici popoli bianchi. I nazionalisti bianchi mirano a preservare, ripristinare o creare Patrie sovrane razzialmente ed etnicamente omogenee per tutti i popoli bianchi che aspirano all’autodeterminazione.

In realtà non esistono bianchi generici. Ogni persona bianca appartiene a uno specifico gruppo etnico. Anche in casi limite, dove i figli di coppie appartenenti a gruppi etnici diversi vengono cresciuti all’interno di due culture, o persino due lingue madri, stiamo sempre parlando della combinazione di specifici gruppi etnici.

Cosa distingue i gruppi etnici bianchi? Vi sono differenze sottorazziali tra gli europei e alcune nazioni hanno dei ben definiti tipi sottorazziali che sono ‘tipici’: pensiamo ad esempio al tipico norvegese o finlandese. Ma altre nazioni racchiudono una gamma di tipi sottorazziali: ad esempio, l’Inghilterra e l’Italia. In breve, alcuni gruppi etnici bianchi sono biologicamente più omogenei di altri. Quindi quello che essenzialmente distingue le nazioni bianche sono le loro diverse lingue, culture e storie.

Poiché le persone in genere contraggono matrimoni all’interno della propria fede, i confini religiosi possono produrre confini etnici. Anche popoli che sono geneticamente affini e parlano la stessa lingua – gli inglesi e gli irlandesi, o i serbi, i bosniaci e i croati – possono essere profondamente divisi dalla religione.

Spesso si dice che il Nazionalismo bianco ha senso solo in contesti di mescolamento coloniale come gli Stati Uniti e il Canada, dove diversi gruppi etnici europei si sono fusi. Ma questo è falso. La fusione di nazioni del Vecchio Mondo non ha prodotto bianchi generici. Ha prodotto nuovi gruppi etnici: gli americani, i canadesi, i québécois, gli australiani, i boeri, etc.

Se gli americani e i canadesi fossero bianchi generici, non vi sarebbero differenze tra loro. Ma queste differenze ci sono e sono linguistiche e culturali. Così, dal punto di vista del Nazionalismo bianco, non c’è in realtà alcuna differenza tra le nazioni europee e quelle coloniali. Noi sosteniamo l’autodeterminazione di tutte le nazioni bianche, in tutto il mondo, non solo in Europa.

Poiché non esistono bianchi generici – almeno al di fuori del mondo platonico delle forme o di qualsiasi altro mondo di universali – perché dovremmo parlare di nazionalismo “bianco”? Perché non parlare semplicemente di specifici gruppi etnici?

Vi sono cinque buoni motivi per cui non possiamo fare a meno di parlare della razza bianca.

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Primo: poniamo che decidiamo di evitare di parlare di bianchezza, e parliamo solamente di promuovere gli interessi nazionali dei francesi, dei tedeschi, degli americani, dei polacchi ecc., facendo attenzione a non parlare di nazioni come la Turchia, l’India, o la Cina. Ci dovremmo chiedere allora: che cosa hanno in comune i primi Paesi, e perché si escludono i secondi? La risposta ad entrambe le domande è che abbiamo a che fare con nazioni bianche, per contro a nazioni non bianche.

Si potrebbe tentare di scansare quest’accusa di “razzismo” parlando di “civiltà occidentale” o di “cristianità”, ma non tutti i popoli europei sono “occidentali” e un vasto numero di cristiani non sono bianchi.

Essenzialmente, i tentativi di evitare la parola “bianco” non sono altro che eufemismi: modi di girare attorno a temi sensibili, come il sesso o gli escrementi, nati dalla paura di violare tabù culturali sul modo educato di fare conversazione. Ma le persone che sanno parlare di razza solo in termini eufemistici non sono ancora pronte per la lotta. È nobile voler salvare i bianchi, ma come può una persona trovare il coraggio di salvare la razza bianca se non osa nemmeno pronunciare la parola “bianco”? Per combattere le forze che stanno promuovendo il genocidio dei bianchi, dovremo essere ben più che un pochino maleducati.

Secondo: se l’unico motivo per la reticenza dei bianchi a parlare in termini di razza è il tabù culturale del “razzismo” bianco, bisogna capire le origini e le funzioni di questo tabù.

A tutte le altre razze è ovviamente permesso di parlare di identità razziale e di interessi razziali. A quanto ne so, i nazionalisti neri che parlando di potere nero e di interessi dei neri non vengono criticati dicendo: “Ma il Nazionalismo Nero non ha senso, perché non ci sono neri generici, ma solo varie tribù e nazioni nere.”

Inoltre, quando i non-bianchi – o bianchi che odiano se stessi – ci fanno la predica sul “privilegio dei bianchi” e recitano infinite litanie sui crimini dei bianchi, nessuno dice loro: “Le vostre accuse non hanno senso. Non esistono bianchi generici.” Sembra che non vi sia nulla di problematico nella categoria di bianchezza quando gli altri ci vogliono incolpare. Diventa una categoria problematica solo quando noi bianchi vogliamo difenderci: quando vogliamo affermare la nostra identità, mostrare orgoglio per le nostre conquiste, prendere atto dei nostri interessi e stare dalla nostra parte in conflitti etnici.

Questo tabù contro ogni forma di appello alla bianchezza come modo di farsi valere è palesemente ingiusto e i bianchi non possono che perdere se continuano a rispettarlo. Ovviamente, questo tabù è stato concepito a sistematico svantaggio dei bianchi. Sarebbe da sciocchi continuare a rispettarlo.

Terzo: anche se essere americani o inglesi o svedesi non vuol dire solo essere bianchi, dobbiamo lo stesso parlare della bianchezza, perché l’attuale sistema politico continua a dirci che è possibile per persone di ogni razza essere americani o inglesi o svedesi. Per molto tempo si è dato per scontato che solo i bianchi possono essere parte di una nazione europea. Ma il multiculturalismo e il nazionalismo civico cercano di separare le identità nazionali europee dalla bianchezza.

Quindi per salvare le nostre nazioni – e, attraverso di esse, la nostra razza – dobbiamo parlare esplicitamente di bianchezza.

Dobbiamo affermare che è solo grazie a una finzione giuridica che i non-bianchi possono essere membri di nazioni bianche. Non tutti gli uomini bianchi sono svedesi, ma ogni svedese è un uomo bianco.

Quarto: di per sé il nazionalismo etnico non è sempre sufficiente ad assicurare interessi particolari, siano essi nazionali o razziali. È del tutto naturale, normale e giusto per un individuo o una nazione prendersi cura prima di tutto della propria gente. E quando imperi multietnici o multinazionali come l’Unione Europea agiscono contro gli interessi etnici di specifici popoli, allora il nazionalismo “particolarista” della Scozia o dell’Ungheria o della Polonia è del tutto legittimo.[1] [7] Ma quando il nazionalismo etnico particolarista o l’imperialismo porta a guerre tra nazioni europee, o impedisce di coordinare una risposta europea a minacce comuni, allora un senso più ampio di solidarietà razziale pan-europea diventa necessario come mezzo per assicurare la nostra sopravvivenza e prosperità razziale.

La creazione di questa solidarietà è un imperativo. Dobbiamo quindi sottolineare tutte le cose che gli europei hanno in comune; al di là delle differenze di lingua, cultura e religione, la radice più profonda dell’identità e della solidarietà europea è razziale. Tutti gli europei hanno antenati comuni. Siamo una famiglia allargata. Per assicurare il nostro comune destino, dobbiamo andare oltre gli stolti tabù che ci impediscono di riconoscere e trarre forza dalla nostra comune origine razziale.

Quinto: fin da subito le società coloniali hanno implicato distinzioni razziali tra i coloni europei e gli indigeni non bianchi. In alcuni casi, schiavi africani e coolies dall’Asia meridionale e orientale si sono aggiunti al miscuglio. In ambienti di questo tipo, è naturale che i bianchi non vedano diverse nazioni e tribù (aztechi, maya), ma semplicemente diversi gruppi razziali (indiani, neri, etc.); ed è altrettanto naturale che i non-bianchi vedano europei di diversa origine nazionale semplicemente come bianchi. Anzi, in un contesto coloniale di polarizzazione e lotta razziale, dove i bianchi devono presentarsi come un fronte unito, la sopravvivenza di differenze etniche dal Vecchio Mondo si rivelano dannose per gli interessi dei bianchi.

Ma ora che l’Europa stessa sta venendo colonizzata da non-bianchi, stiamo assistendo al medesimo processo di polarizzazione razziale. Neri, arabi e sud-asiatici in Europa non vedono francesi, inglesi e tedeschi. Vedono semplicemente uomini bianchi. E noi vediamo semplicemente non-bianchi. Le nostre differenze a loro non importano, e le loro differenze non importano a noi. Con l’incremento delle tensioni razziali in Europa, i nostri realizzeranno che non stanno venendo attaccati in quanto francesi o tedeschi, ma semplicemente in quanto uomini bianchi. E quando gli europei opporranno resistenza alla rimozione etnica, verranno sempre di più a considerare la propria razza come la propria nazione e la propria pelle come la propria uniforme. Quanto prima ci vedremo come bianchi, uniti da nemici e sfide comuni, con un’origine comune e un comune destino, tanto prima saremo all’altezza del compito da affrontare.

La bianchezza è sovversiva?

La miglior critica alla bianchezza come categoria politica ci viene da Martin Heidegger. Heidegger era un sostenitore del nazionalismo etnico tedesco e riteneva che l’enfasi nazional-socialista sulla bianchezza razziale stesse sovvertendo gli interessi etnici tedeschi. Heidegger aveva capito che la bianchezza è una condizione necessaria per essere tedeschi, ma che essere tedeschi non vuol dire solo essere bianchi.[2] [8]

Heidegger credeva che rendere la bianchezza un concetto politico, comprendente i tedeschi e altri popoli europei, spianasse la strada per la distruzione delle differenze etniche. Se siamo tutti bianchi, che importanza potrebbe avere se i tedeschi decidessero di assimilare i membri di altri gruppi etnici europei? Racchiudere diversi gruppi etnici all’interno dell’ampio genere biologico “bianco” induce a pensare che i bianchi siano equivalenti e interscambiabili. In termini biologici, questa fungibilità significa che i bianchi di altre nazioni costituiscono materiale riproduttivo adatto. E in termini culturali fungibile significa assimilabile: in grado di perdere la propria identità culturale e di adottarne un’altra. Ma qua entrava in gioco anche una dimensione di pura politica di potenza. Perché dovevano essere i tedeschi ad assimilare biologicamente e culturalmente i polacchi, e non viceversa? Ovviamente, perché i tedeschi erano politicamente dominanti.

Inoltre, i nazisti non erano interessati semplicemente ad assimilare altri bianchi ma ad assimilare specificatamente bianchi nordici, a prescindere dalla loro cultura. Il corollario è che i nazisti non sarebbero stati particolarmente interessati a perpetuare il lignaggio di veri tedeschi che non erano però nordici. Questa considerazione sicuramente dà sostegno alla critica di Heidegger, sebbene non vi siano prove che gli fosse mai venuto questo pensiero. Tuttavia, considerando che Heidegger stesso era ben lontano dall’essere un Übermensch nordico, è quantomeno probabile che l’idea gli attraversò la mente.

Il ragionamento di Heidegger ha senso. Non ci si pone domande come “I finlandesi sono bianchi?” o “Gli italiani sono bianchi?”, a meno che non si stia valutando di riprodursi con loro o di imporre loro la propria cultura. Tali domande emergono quasi sempre in un contesto coloniale o imperiale. In un’Europa di etnostati autonomi difficilmente verrebbero poste, e, in ogni caso, solo all’interno dei segmenti della società più sradicati e cosmopoliti: accademici, artisti, uomini d’affari, e altre persone che amano viaggiare all’estero e che potrebbero innamorarsi di una ragazza straniera e chiedersi se essa è “sufficientemente bianca” da riportare a casa (ma ci si augura che negli etnostati europei si porrebbe l’accento sulla necessità di radicamento da parte di coloro che aspirano al potere politico).

Fortunatamente, ci sono delle misure che possiamo prendere per ridurre il rischio di omogeneizzazione razziale e culturale in Europa. In generale, non ci dovremo preoccupare se altri popoli sono “sufficientemente bianchi” o meno se ogni popolo avrà la sua terra, se l’immigrazione e i matrimoni misti tra società bianche saranno ridotte al minimo, e se ogni persona avrà un senso della propria identità etnica abbastanza forte da sposare qualcuno della sua stirpe. Queste sono tutte politiche sensate per preservare la diversità etnica e sottorazziale dei popoli bianchi.

Così come accetto l’etnonazionalismo, a condizione che venga qualificato da una più ampia solidarietà razziale tra bianchi, così accetto il Nazionalismo bianco a condizione che preservi, non danneggi, i distinti gruppi etnici bianchi.

La bianchezza è un costruzione sociale?

Ai nazionalisti bianchi viene spesso obiettato che la razza è solamente una costruzione sociale, non una vera categoria biologica. Nel mio articolo “Why Race is Not a Social Construct” (“Perché la razza non è una costruzione sociale”) sostengo che questa affermazione è falsa.[3] [9] In sostanza, tutti gli argomenti basati sul costruttivismo sociale ignorano la distinzione tra razze, che sono fatti biologici oggettivi e pensieri sulla razza – ad esempio, tassonomie razziali e teorie scientifiche – che sono costruzioni sociali. Qua intendo sostenere che a prescindere dal fatto se la costruzione sociale della razza sia vera o falsa, non costituisce un impedimento per il Nazionalismo bianco. Semplicemente, è irrilevante. Anche se la razza non è che una costruzione sociale, possiamo lo stesso essere nazionalisti bianchi. Anzi, in un certo qual modo è più facile.

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Primo: va notato che alcune persone che considerano la costruzione sociale della razza un’obiezione al Nazionalismo bianco non si fanno alcun problema a sostenere politiche identitarie per i non-bianchi. Quindi, se il costruttivismo sociale pregiudica le politiche identitarie, i nostri avversari dovrebbero forse iniziare con l’abbandonare le proprie. Ma se il costruttivismo sociale invece non costituisce un impedimento per le politiche identitarie non bianche, allora non costituisce un impedimento neppure per quelle bianche.

Secondo: i nazionalisti bianchi ritengono che l’identità sia qualcosa di più che semplicemente una questione di razza. Ogni italiano è un uomo bianco, ma non tutti i bianchi sono italiani. L’identità italiana non è una questione solo di comune discendenza biologica, ma si basa sulla condivisione di una lingua, cultura e storia, che sono costruzioni umane. Queste costruzioni sono limitate e plasmate dal nostro retaggio genetico e da eventi storici oggettivi, ma al centro di ogni cultura vi sono convenzioni che sono libere creazioni dell’immaginazione umana.

I costruttivisti sociali ritengono che se un gruppo di persone si concepiscono come nazione, allora sono una nazione. Per i nazionalisti bianchi, la nazionalità è in gran parte un costrutto sociale, ma non esclusivamente, poiché una nazione implica anche una discendenza comune. Ovviamente, le nazioni stabiliscono convenzioni che permettono agli stranieri di essere “naturalizzati” (un termine che la dice lunga), ma c’è sempre stata una forte presunzione a favore della subordinazione della naturalizzazione all’assimilabilità biologica e culturale.

Ammettiamo in via puramente teorica che l’identità sia qualcosa di esclusivamente convenzionale, come afferma il costruttivismo sociale. Questo non impedisce a una società di adottare la convenzione sociale che solo persone bianche possano esserne membri. Se i confini sociali sono essenzialmente costruzioni arbitrarie, per quale motivo non dovremmo essere etnonazionalisti? Per un costruttivista sociale, nulla vieta alla società di stabilire l’omogeineità razziale. E poiché la diversità razziale, a prescindere se sia reale o solo una costruzione sociale, è una fonte provata di divisione e conflitto, vi sono sensate ragioni pratiche per preferire l’omogeneità.

I nazionalisti bianchi ritengono che la nostra razza sia vera. Ma il realismo razziale da solo non conta molto se la gente non si concepisce in termini razziali. Il Nazionalismo bianco non è solo una tesi scientifica. È un’ideologia politica. In quanto tale, dipende dalla coscienza bianca, ovvero l’autocoscienza bianca. Questa autocoscienza costituisce anzi il grosso del Nazionalismo bianco, poiché senza di essa, i bianchi sono politicamente tanto inerti quanto i cani o i cavalli. Quindi una delle attività primarie dei nazionalisti bianchi è quella di risvegliare l’autocoscienza bianca. La nostra gente deve concepirsi come una razza distinta, con un’identità e interessi distinti, che sono spesso in conflitto con l’identità e gli interessi di altre razze. E quando tali conflitti esistono, i bianchi devono ritenere che sia naturale, normale e giusto organizzarsi per proteggere i propri interessi in campo politico.

I costruttivisti sociali desiderano rimuovere il fondamento biologico del Nazionalismo bianco. Ma la rimozione del realismo razziale non intacca il grosso del Nazionalismo bianco, ovvero la coscienza razziale bianca. Inoltre, se il costruttivismo sociale ha ragione, allora nulla vieta ai nazionalisti bianchi di sostenere che desiderano l’omogeneità razziale ed etnica.

L’unica cosa che potrebbe impedirci di mettere queste preferenze in pratica è l’assenza di potere politico. Così, se il costruttivismo sociale ha ragione, i nazionalisti bianchi non devono sprecare fiato a convincere ogni singola persona che le nostre società dovrebbero essere omogenee. Fintantoché possiamo risvegliare l’autocoscienza, l’orgoglio e la volontà di affermazione dei bianchi, possiamo conseguire il potere politico e culturale necessario per imporre le nostre preferenze sul resto della società. Non c’è alcuna ragione morale per non farlo. I nostri nemici affermano apertamente la loro intenzione di fare lo stesso nei nostri confronti.

Abbiamo bisogno di una definizione di bianchezza?

Il Nazionalismo bianco richiede una risposta alla domanda “Chi sono i bianchi?”. Ma non richiede una definizione ineccepibile della bianchezza. C’è una distinzione importante tra un fenomeno e la sua definizione. La razza bianca è un fenomeno che esiste nel mondo reale. La nostra conoscenza primaria dei bianchi avviene attraverso la percezione sensoriale. Riconosciamo un bianco quando lo vediamo.

Le definizioni sono tentativi di articolare verbalmente i tratti essenziali di ciò che cogliamo con la percezione sensoriale, e poiché percepiamo sempre più di quanto possiamo esprimere a parole, qualsiasi definizione risulta inadeguata. Ma la mancanza di una buona definizione non implica che non sappiamo chi siano i bianchi, né tanto meno che i bianchi non esistano: dimostra semplicemente che dinanzi alla ricchezza della natura le parole ci mancano sempre.

Molti di noi avrebbero difficoltà a fornire una definizione verbale di cavolo che ci permetta di distinguerlo dalla lattuga. Ma siamo immediatamente in grado di distinguerli quando li vediamo. Sappiamo sempre più di quanto riusciamo a esprimere. Quindi è un ragionamento sofistico affermare che se non possiamo offrire una definizione ineccepibile di cavolo, allora non sappiamo cosa siano i cavoli, o i cavoli non esistono.

Ai fini del Nazionalismo bianco, i bianchi sono i popoli aborigeni dell’Europa e i loro discendenti sparsi nel mondo. Ma inevitabilmente i nazionalisti bianchi si trovano a dover difendere questa rappresentazione della bianchezza contro certi casi limite.

Di nuovo, queste domande non hanno davvero importanza in un mondo dove ogni popolo ha la sua terra. Gli ebrei potrebbero non essere “sufficientemente bianchi” per i tuoi gusti, ma sono sufficientemente ebrei da vivere in Israele.

Certo, ai nazionalisti non bianchi non viene mai posta la stessa sfida, e anche se lo fosse, non li scoraggerebbe affatto.

L’assunto alla base di queste obiezioni è che se non si possono fornire regole non arbitrarie per trattare casi limite, allora la bianchezza è una costruzione sociale, non una classe naturale. Ma questo è tanto assurdo quanto affermare che se all’interno dello spettro dei colori vi sono sfumature tra il blu e il verde, allora non esistono gradi puri di blu o verde. Sono state create molte tassonomie razziali, che dividono le razze del mondo in modi diversi.[5] [13]

Ma tutte queste tassonomie comprendono una categoria per i bianchi, perché è ovvio che i bianchi esistono. Di nuovo, poniamo per ipotesi che i costruttivisti sociali abbiano ragione. Se accettiamo il costruttivismo sociale, siamo del tutto liberi di rispondere a queste domande con regole generali arbitrarie. I costruttivisti sociali dovrebbero essere le ultime persone al mondo ad avere da ridire sul fatto di mettere le nazioni bianche nella condizione di affermare le proprie identità e di determinare chi vi è compreso e chi vi è invece escluso.

Infine, nella maggior parte dei casi la richiesta di “definire la bianchezza” viene posta in cattiva fede. Ben pochi tra quelli che affermano che il Nazionalismo bianco è destinato a fallire senza una definizione ineccepibile di bianchezza si fanno problemi a identificarci come bianchi quando si tratta di incolparci per i problemi del mondo, discriminarci nel campo dell’educazione o del lavoro o prenderci di mira come oggetto di genocidio. Così, quando una di queste persone ti chiede di definire la bianchezza, con un sorriso tu rispondigli che i bianchi sono quelli che ci si aspetta si addossino il senso di colpa bianco. Ma se i bianchi sono abbastanza reali da accollarsi questo senso di colpa, allora sono abbastanza reali da poter edificare nazioni bianche.

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Note a piè di pagina

[1] [15] Greg Johnson, “‘Let’s Call the Whole Thing Off’: In Defense of ‘Petty’ Nationalism,” in Truth, Justice, & a Nice White Country [6] (San Francisco: Counter-Currents, 2015).

[2] [16] Vedi Greg Johnson, “Heidegger and Ethnic Nationalism [17],” Counter-Currents, 27 giugno and 5 luglio 2017.

[3] [18] Vedi Greg Johnson, “Why Race is Not a Social Construct [19]”, in Toward a New Nationalism [20].

[4] [21] La risposta è che sono bianchi la cui religione è un veicolo per l’invasione non bianca dell’Europa. Purtroppo, possiamo ora dire lo stesso della maggior parte dei cristiani europei.

[5] [22] Vedi Andrew Hamilton, “Taxonomic Approaches to Race [23]”, The Occidental Quarterly, vol. 8, nr. 3 (autunno 2008).